Sante Messe in rito antico in Puglia

martedì 28 giugno 2016

“Uscite da essa [Babilonia], o popolo mio, affinché non siate complici dei suoi peccati e non siate coinvolti nei suoi castighi” (Apoc. XVIII, 4). Sulla Brexit, il punto di vista cattolico

Il 23 giugno scorso è stata davvero una data memorabile. Consultato il popolo inglese sulla permanenza nell’Unione Europea, questo ha detto chiaramente, a larga maggioranza, di non volerne più far parte. Deo gratias.
Il popolo si è voluto esprimere in maniera chiara, contro ogni previsione della vigilia, che dava il fronte a favore dell’Unione in netto vantaggio soprattutto dopo l’uccisione, da parte di un esaltato (sebbene ci siano alcuni profili oscuri su questa morte) della deputata laburista Jo Cox.
Il popolo ha rifiutato un’Unione delle lobbies a scapito dei popoli.
Quale dev’essere la posizione cattolica al riguardo?
Non può dirsi questa rappresentata da alcuni “alfieri” dell’Unione, le cui dichiarazioni sono state riportate, con enfasi, da alcuni organi di stampa. Se si guarda a fondo, questi personaggi son tutto fuorché cattolici e, dunque, incapaci di esprimere un punto di vista cattolico.
Tanto per citare alcuni di questi “alfieri”:
- Timothy Radcliffe, definito da taluno “una delle figure cattoliche più eminenti del Regno Unito” è un “domenicano” dalle notorie posizioni eterodosse o, comunque, volendo essere benevoli, "eccentriche" rispetto al depositum fidei, soprattutto in campo etico. In una recente occasione aveva affermato persino che «the homosexual activity can be expressive of Christ’s self gift» (vPete Baklinski, Eucharistic Congress speaker claims Catholics too focused on what homosexuals are ‘doing in bed’, in Lifesitenews, Jan 28, 2016. Per un riferimento alle opere del suddetto personaggio si rinvia qui) … ;
- l’arcivescovo “cattolico”, cardinal (si fa per dire …) Nichols, anche lui contrario alla Brexit, ha manifestato posizioni in materia di etica talora non molto dissimili da quelle del “domenicano” ora ricordato (vNick Donnelly, Cardinal Nichols, the Synod and the Gay Agenda, in Catholic Voice, Sept. 18, 2015);
- e che dire del quotidiano “Avvenire”? Il giornalista Andrea Lavazza si è espresso decisamente a favore delle ben note lobbies … (Per questo ed i precedenti riferimenti, v. Aleteia, 24.6.2016).
Ma simili “alfieri”, che hanno il giudizio morale compromesso dall'ideologia del mondo, possono esprimere una serena valutazione cattolica sul punto??? Se hanno un giudizio compromesso, chi ci assicura che possano offrire un punto di vista cattolico anche su questo tema????
Il dubbio è più che legittimo ed il cattolico, allora, quale metro di giudizio dovrà adoperare?
Semplice: la regola aurea dell’albero e dei frutti. Orbene, basti vedere quali sono i frutti di questa Unione Europea, retta da sentimenti chiaramente anticristiani, e che agisce etsi Deus non daretur. Ed infatti, questi frutti mefitici quali sono? La promozione delle unioni omosessuali e di tutto ciò che è riprovevole moralmente (aborto ed eutanasia in primis), l’avvilimento ed annientamento della cultura religiosa e dell’identità dei popoli, la realizzazione del completo dominio ed asservimento economico dei popoli europei, l’attenzione a tutto ciò che è anti-umano o non-umano (ha fatto discutere, infatti, la recente proposta al Parlamento europeo di riconoscere la “personalità elettronica” ai robot: cfr. Anne Dolhein, Al Parlamento europeo si discute per riconoscere la “personalità elettronica” dei robot, in Il Timone, 28.6.2016) ecc.
Se l’Unione ha dimenticato Dio, ha dimenticato anche l’uomo, guardando ad esso come ingranaggio di un meccano e non come essere umano, dotato di un’anima da salvare. E per non far percepire la riduzione degli individui in una sostanziale schiavitù, l’ha occultata sotto una coltre di “diritti”, asseritamente umani, ma che in verità sono espressione delle sue passioni più disordinate. Per un cattolico vale sempre il principio: «In qualsiasi tipo di Stato i principi devono soprattutto tener fisso lo sguardo a Dio, sommo reggitore del mondo, e proporsi Lui quale modello e norma nel governo della comunità». Questo lo diceva quel “medievale”,  nostalgico ed utopista di Leone XIII nell’enciclica Immortale Dei. E se ciò vale per gli Stati, varrà anche, a maggior ragione, per le aggregazioni di Stati di cui l’U.E. ne è un tipo.
Per cui, per il cattolico, non riscontrando in quest’Unione alcun elemento cristiano o di fondamento in Dio, vale l’invito dell’Apocalisse: «Uscite da Babilonia, o popolo mio, affinché non siate complici dei suoi peccati e non siate coinvolti nei suoi castighi, perché i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato delle sue iniquità» (Apoc. XVIII, 4-5).
In assenza di qualsiasi fondamento in Dio, alcun edificio, in fondo, può reggersi a lungo, memori dell’insegnamento della Scrittura: «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode» (Sal. 127 (126), 1).

Vittoria di un giorno di libertà


Non si tratta di fare gli euforici, né di immaginare che da oggi cambia tutto immediatamente, né di fare del sensazionalismo. Anzi, chi scrive sa bene che molti, pur ostili alla UE, troveranno le più svariate motivazioni per non esultare, anzi, per mettere in guardia. Alcune saranno anche giuste, altre solo in parte, altre del tutto insensate o fuorvianti.
Chi scrive sa bene che non sta tornando Carlo Magno…. Né può approvare esultanti quanto ridicoli commenti di futura restaurazione della civiltà cristiana… (figuriamoci…). E condivide pure in parte il fatto che le forze della dissoluzione sapranno comunque trarre vantaggio anche da una sconfitta.
Eppure… è fuori discussione che i signori camerieri di Bruxelles, quelli mai votati da nessuno e agli ordini di qualcuno che nessuno conosce, come le comparse note al grande pubblico (da Schult, Napolitano e Monti in giù),  abbiano ricevuto una sventola fenomenale in faccia.
È fuor di dubbio che oggi è accaduto un evento democratico – e lo dice uno che non è certo un assertore della democrazia moderna –, nel senso che è stata punita con libero voto del popolo una oligarchia antidemocratica mai votata da nessuno.
Quel che è certo, è che finalmente un popolo che ha potuto esprimersi liberamente e non solo ha condannato la UE, ma, come ammesso da tutti, ha condannato anzitutto l’immigrazionanismo (sebbene proprio in Gran Bretagna questo non sia prodotto dalla UE, come per esempio da noi… Ma di cui comunque la UE è simbolo anche quando non ne è causa diretta).
Quel che è certo, è che ora il vento della libertà e della ribellione dei popoli europei soffia un po’ più forte di prima, e tutto il mondo sinarchico e mondialista non potrà non tenerne conto.
Quel che è certo è che ora si presenta una grande occasione per risvegliare le coscienze assopite, e poniamo la nostra speranza in questo risveglio non nel popolo più assopito e stupido, ovvero il nostro, ma nei francesi, negli austriaci, nei danesi, nei popoli slavi, perfino nei tedeschi. Poi, i belli addormentati nel bosco della schiavitù economica e politica (ovvero noi), potrebbero anche svegliarsi. Ora, si comincia.
Anche dal punto di vista della fondamentale lotta antigender e profamily, si tratta di un’importante vittoria indiretta. Chi ha perso oggi sono gli stessi che comandano e conducono la distruzione della famiglia, dei bambini, dell’ordine naturale.
Stamane presto, ai primi commenti televisivi, un docente universitario di economia commentava: “Basta parlare di finanza, bisogna tornare agli ideali fondanti del 1957: pace, democrazia e valori”. Appunto: quali valori? Quelli proclamati a Nizza nel 2001, che distruggono ogni ordine naturale per la costruzione dell’”uomo nuovo” e la distruzione della famiglia e dell’essere umano? O i valori cristiani di sempre, radice, fusto, foglie e frutti dell’albero della civiltà europea? Ecco un’altra sfida per tutti noi e anche in questo la giornata di oggi può essere di importanza capitale.
Non per niente, a parlare è la stizza incontenibile di Napolitano, Monti e gentaglia come Saviano, la paura dei democristiani usuali, il timore silenzioso della Merkel e di Hollande, così come l’entusiasmo dei popoli.
Si parla ora di Frexit. Quasi sicuramente non permetteranno altri referendum (come appunto auspicato da Napolitano e Monti, portavoci del Sauron bruxellese), ma se dovessero farlo, e lo facessero in Francia, il pericolo del collasso definitivo della UE diverrebbe concretissimo. Affidiamoci a Dio, che può sconvolgere i piani umani in un istante e rovesciare il corso della storia quando vuole.

Il pericolo di una "canonizzazione" di Lutero durante il Concilio Vaticano II in un aforisma del card. Siri


Fonte: Il Card. Siri: in Concilio ci fu il pericolo di una canonizzazione di Lutero, Paolo VI ne ebbe paura, in Il Timone, 28.6.2016

Credenza di Dio, preghiera e cose davvero importanti per la vita in un aforisma dell'attore Carlo Pedersoli (Bud Spencer) (1929-2016)


venerdì 24 giugno 2016

Ecce Agnus Dei ......




Massimo Stanzione, S. Giovanni Battista si congeda dal padre per ritirarsi nel deserto, 1635 circa, museo del Prado, Madrid

Ferraù Fenzoni o Ferraù da Faenza, S. Giovanni Battista, XVII sec., collezione privata

Guercino (attrib.), S. Giovanni Battista nel deserto, XVII sec., collezione privata

Abraham Bloemaert, S. Giovanni Battista e l'Agnello, XVII sec.


Carmine Lantriceni; Busto di S. Giovanni Battista, XVIII sec., Chiesa di S. Giovanni Battista all'Olmo, Massaquano, Vico Equense

Sulla Amoris laetitia: gioie, domande, tristezze

L’avevamo un po’ messa da parte negli ultimi tempi, sebbene in verità non fosse mancato il dibattito (cfr. ad es. Michel Schooyans, I casi di coscienza contro la verità rivelata, in La nuova bussola quotidiana, 12.6.2016; Mons. Schneider: la necessaria analisi critica di Amoris laetitia, in Corrispondenza romana, 1.6.2016; Patrizia Fermani, L’Amoris Laetitia come nuova inculturazione, in Riscossa cristiana, 17.5.2016; Id., La tecnica della demolizione, ivi, 20.6.2016); perciò volentieri rilancio questo saggio da Corrispondenza romana.

Bartolomé Esteban Murillo, S. Giovanni Battista, 1650 circa, Kunsthistorisches Museum, Vienna


Bartolomé Esteban Murillo, S. Giovanni Battista con l'Agnello, 1660-65, National Gallery, Londra

Bartolomé Esteban Murillo, S. Giovannino, 1670 circa, museo del Prado, Madrid



Sulla Amoris laetitia di Papa Francesco: gioie, domande, tristezze 

di Josef Seifert

In tutto il mondo molte voci di gioia e lode hanno risposto all’ultimo documento di Papa Francesco, Amoris laetitia. Questo testo contiene indubbiamente numerosi passaggi molto belli e profonde verità che danno gloria a Dio e rallegrano il lettore. Il testo irradia l’amore misericordioso di Dio e del Papa verso tutti e contiene grandi perle di saggezza.
Nonostante la letizia della Gioia dell’amore e tutte le lodi che ne hanno tessuto vescovi e cardinali, trovo che alcuni passaggi dell’esortazione apostolica e, in particolare, quelli che avranno maggiori conseguenze, siano motivo di tristezza.
Tali passaggi, che talvolta sono nascosti in poche righe e note a piè di pagina nell’ottavo capitolo, soppiantano alcune delle più belle parole misericordiose e delle più severe ammonizioni di Gesù e, di primo acchito, sembrano respingere alcune dottrine perenni e parti della disciplina sacramentale della Chiesa. A mio avviso, pertanto, rischiano una valanga di conseguenze molto dannose per la Chiesa e per le anime.
Sì, perché Gesù non condanna la donna adultera che, secondo la legge di Mosè, meritava la morte, ma le dice: “Va ed’ora in poi non peccare più”.
Il suo successore Francesco, citando il Sinodo, dice alla donna adultera che, anche se continuerà a peccare in modo grave, non dovrebbe sentirsi scomunicata:
Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo” (AL, 299).
Ciò che dice il Papa qui è vero (dal cambiamento del diritto canonico nel 1983): i divorziati che hanno contratto (senza la nullità del primo matrimonio) una seconda unione non sono automaticamente scomunicati come in passato. Non lo sono infatti. La scomunica è il castigo ecclesiastico più severo con il quale vengono puniti dalla Chiesa solo alcuni peccati molto gravi. La scomunica può essere data automaticamente (per esempio per eseguire un aborto o collaborare a questo scopo) o esplicitamente mediante un atto del vescovo. L’adulterio, che io sappia, non è stato mai punito con la scomunica. Nel codice di diritto canonico del 1917, tuttavia, l’adulterio e il risposarsi (matrimonio civile) fu considerato punibile con la scomunica. Il canone 2356 considerò questo atto un caso di bigamia (e oggettivamente lo è, se il vincolo del primo matrimonio continua a esistere). NelCodex iuris canonici si dice che i bigami sono quelli che si sposano civilmente, mentre il vincolo matrimoniale con un’altra persona continua a esistere. Il CIC chiede di avvertirli che il loro atto porterà alla scomunica. E se dopo essere stati informati continueranno a convivere devono essere scomunicati.
Papa Francesco “dice che è sbagliato se un compagno di una coppia divorziata inganna la sua compagna (adultera) perché questa non gli permette di avere rapporti sessuali”. Non nego che alcuni valori umani esistono rimanendo fedeli nell’ambito di una relazione adultera e bigama. Né pretendo che “la fedeltà nella coppia adultera non abbia senso”. Direi però che un atto sessuale commesso al di fuori dei rapporti tra la coppia bigama non è necessariamente, e di fatto non è mai, solo moralmente peggiore degli atti dei “fedeli adulteri civilmente sposati”. Questo “inganno”, infatti, se avviene in un “matrimonio” adultero assume, almeno da un punto di vista religioso, un “valore negativo” minore di un atto sessuale tra la coppia adultera “risposata” per l’aspetto “bigamo” e perché attraverso la pretesa di “contrarre un nuovo matrimonio” i suoi atti sono in un certo senso peggiori del “semplice adulterio”.
Tutto questo è indubbiamente l’insegnamento della chiesa che mai punisce un adulterio con la scomunica, ma in passato punì con la scomunica quanti contraevano un nuovo matrimonio civile in una relazione adultera.
In particolare, rompere un vincolo sacramentale del matrimonio è evidentemente un peccato non paragonabilmente peggiore dell’inganno in un matrimonio adultero civile non valido dal punto di vista ecclesiastico. In un simile “adulterio” contro la coppia adultera non si viola un vincolo sacramentale del matrimonio che non esiste tra la coppia divorziata e risposata.
In questo modo si viola solo un vincolo umano (che sul piano religioso e morale è un vincolo intrinsecamente nullo e sbagliato).
In generale, quindi, trovare “valori positivi” in relazioni omosessuali e adultere, dire che la chiesa dà il “benvenuto” a quanti la praticano, ecc. è un linguaggio che, benché abbia un granello di verità, corre il rischio di un oscuramento dei valori massimi e reali e dei demeriti dei quali si tratta.
Se la relazione, secondo nostro Signore, è un adulterio, è un male se la coppia non vive “come fratello e sorella”, nel cui caso può essere un amore di grande valore. Quanto all’osservazione di Papa Francesco che se le coppie risposate si comportano soggettivamente a partire da una coscienza pura e pertanto possono essere in uno stato di grazia che consentirebbe loro di ricevere la Santa Comunione fruttuosa per le loro anime, non nego tale possibilità.
Insisto tuttavia che non possiamo ritenere che questo sia il caso normale di una coppia divorziata e risposata. Perché allora il Sinodo e il Papa trattano questo caso degli “adulteri innocenti” quasi come un caso normale e concedono alle “coppie irregolari”, come l’amico del Papa e probabile coautore dell’AL dichiara, l’“accesso completamente libero all’Eucaristia”, “eliminando tutti gli ostacoli”?
Perché non appare mai una sola parola sul pericolo reale del sacrilegio, se coppie adultere o bigame ricevono la Sacra Comunione? Perché su 250 pagine non vi è neanche una parola sulla dichiarazione delle Sacre Scritture che “nessun adultero entrerà nel Regno di Dio”? Neanche una parola che affermi ciò che san Paolo dice, ossia che chi mangia e beve indegnamente il corpo e il sangue di Cristo mangia e beve il proprio giudizio? Non sarebbe misericordioso ricordare queste parole alle “coppie irregolari” invece di considerarli “membra vive della Chiesa”?
Questo era senza dubbio il punto di vista di Suor Faustina, l’apostola della misericordia, che scrisse nel suo diario che “oggi [fine ottobre 1936] sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell’inferno. E un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho viste: la prima pena, quella che costituisce l’inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi di coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l’anima, ma non l’annienta; (…) la quinta pena è l’oscurità continua, un orribile soffocante fetore (…); la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l’odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie. (…) Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l’inferno”.
Se un cambiamento della disciplina della Chiesa ammette coppie che oggettivamente vivono in un peccato talmente grave da essere fino a poco tempo fa scomunicate automaticamente, un silenzio totale sul pericolo reale di “mangiare e bere il proprio giudizio per ricevere indegnamente l’Eucaristia” è incomprensibile, perché questo pericolo così grave è certamente presente se le coppie che vivono in adulterio ricevono la Santa Comunione. E se le parole delle Sacre Scritture dicono questo, non dirlo neanche con una sola sillaba o negarlo esplicitamente affermando che “nessuno sarà condannato per sempre” non è, credo, un atto di misericordia, ma di grande crudeltà.
Ritengo, pertanto, che per preservare la santità del matrimonio e dell’Eucaristia e per evitare uno scandalo pubblico enorme, sia necessario dire alle coppie che talvolta, grazie alla purezza della loro coscienza, sono in stato di grazia, che devono ricevere la “comunione spirituale” che non suscita né scandalo pubblico né comporta il rischio di un sacrilegio.
Se vivono oggettivamente e soggettivamente in uno stato di peccato, inoltre, non si deve dire loro che sono “membra vive della Chiesa”, se non si convertono dal peccato di adulterio.
Naturalmente è vero e può essere un gran conforto per queste coppie sapere che la misericordia di Dio è sempre presente; tuttavia è del tutto assente il “Va e non peccare più”, manca l’invito alla conversione dal peccato e un divorziato civilmente sposato non è “un membro vivo della Chiesa” e non “va nel cammino della vita e del Vangelo” se non si converte, anche se può sempre intraprendere questa strada aperta a tutti grazie alla confessione e al pentimento.
Con tutta la sua misericordia, Gesù ci avverte 15 volte in modo esplicito che esiste il pericolo della condanna eterna se persistiamo in un peccato grave; mentre il suo successore ci dice che “Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino” (AL, 297). Anche se nel contesto non è chiaro di quale condanna “per sempre” parla il Papa, il significato che sembra imporsi è che non esiste né inferno né pericolo di finirci, dato che Francesco non ha parlato di “nessuna condanna per sempre da parte della Chiesa”, che oggettivamente non esiste e che Papa Francesco non hai mai menzionato. (Alla luce di tutte le sue belle parole sulla misericordia divina come modello per la Chiesa è ovvio che il Papa non ammette la minima possibilità di una “condanna per sempre da parte della Chiesa”. Pertanto non vedo nessun’altra interpretazione ragionevole di queste parole salvo che il Papa escluda in questo passaggio una condanna eterna, cosa che sarebbe un’eresia).
Gesù alla donna adultera e a noi dice il contrario attraverso l’apostolo Paolo: vale a dire che nessun adultero (non convertito, come lei) entrerà nel regno di Dio e quindi tutti saranno “condannati per sempre”:
Cor. 6, 9: “Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, 6, 10 né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio”.
Papa Francesco dice agli adulteri che è possibile per essi vivere nella grazia di Dio e, mediante la santa Eucaristia, crescere in grazia anche senza ritorno o conversione dalla vita adultera (nonostante questo cambiamento renda il matrimonio cattolico molto desiderabile) (AL, 297).[1]
Se si considera che il padre gesuita Antonio Spadaro è uno stretto collaboratore del Papa non si può dubitare quanto dice:
L’Esortazione riprende dal documento sinodale la strada del discernimento dei singoli casi senza porre limiti all’integrazione, come appariva in passato[1].
Gesù, attraverso il suo Apostolo, dice alla donna e all’uomo adultero che è necessario fare un esame di coscienza prima di ricevere il corpo e il sangue di Cristo, se non si vuole commettere un sacrilegio e mangiare e bere il proprio giudizio:
27° Perciò, chiunque mangerà il pane o berrà del calice del Signore indegnamente, sarà colpevole verso il corpo ed il sangue del Signore.
28° Or provi l’uomo se stesso, e così mangi del pane e beva del calice;
29° poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio su se stesso, se non discerne il corpo del Signore”.
In altre parole, si tratta di un compiere sacrilegio e mettere in pericolo la propria anima.
Papa Francesco, che neanche una volta menziona il possibile sacrilegio o pericolo per le anime di quanti si comunicano indegnamente, dice agli adulteri che in certe circostanze, da decidere caso per caso, è possibile per chi vive in adulterio o in altra unione “irregolare” accedere alla santa Comunione senza cambiare la propria vita e continuando a vivere da adulteri[3].
Dio ordina alla moglie adultera e a ciascuno di noi, in assoluto, senza condizioni, “non commettere adulterio!”.
Papa Francesco insegna che questi comandamenti divini sono espressione dell’ideale (Zielgebote) che pochi possono raggiungere, come se si trattasse di puri consigli evangelici validi solo per coloro che cercano una perfezione superiore e non comandamenti riservati a tutti.
Dio dice senza condizioni “non commettere adulterio!”.
Il Papa dice che se la donna adultera non potrà separarsi dall’adultero (quando, per esempio, la separazione della coppia civilmente sposata provocherebbe danni ai figli), ma vive con lui come sorella (cosa che la Chiesa cattolica ha sempre preteso in tali situazioni), praticherebbe uno stile di vita che può causare l’“infedeltà” propria o quella del partner. Nel caso di minaccia di infedeltà tra i due adulteri, secondo il Papa, piuttosto che vivere come sorella, è meglio che la donna adultera abbia rapporti intimi con il suo uomo. In tal caso, dunque, sarebbe meglio continuare a vivere in adulterio piuttosto che come fratello e sorella. Per provare questa tesi il Papa cita testi che si riferiscono a matrimoni, non a “unioni irregolari” (soprattutto per quanto riguarda l’astensione temporale limitata, in ottemperanza all’Humanae Vitae). Tali testi, inoltre, non permettono che in un matrimonio si eviti il pericolo, di cui parla l’apostolo Paolo, per mezzo di un peccato.
Esiste il caso di una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce «situazioni in cui l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione»” (329).
NOTA 329: “…In queste situazioni, molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere «come fratello e sorella» che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, «non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli»” (Conc. Ecum. Vat. II, Const. past. Gaudium et spes, sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 51)[4].
Come possono Gesù e la sua Madre santissima leggere e paragonare queste parole del Papa con quelle di Gesù e della sua Chiesa senza piangere? Como può lo stesso Papa Francesco paragonarle senza piangere? Piangiamo dunque con Gesù, con profondo rispetto e affetto per il Papa, e con il dolore profondo che nasce dall’obbligo di criticare i suoi errori! E preghiamo affinché il Papa stesso o un Santo Concilio revochino queste false dottrine contrarie alle sante parole di Cristo, che mai moriranno, e alle sante dottrine della Chiesa!
Non è possibile, come propongono alcuni eccellenti cardinali e laici (come Rocco Buttiglione), leggere queste poche ma pregnanti parole della Amoris Laetitiaconsiderandole in armonia con le parole di Cristo o con le dottrine della Chiesa!
Qualcuno potrebbe chiedermi come io, misero laico, possa criticare un Papa. Rispondo: il Papa non è infallibile se non parla ex cathedra. Vari Papi (come Formoso e Onorio I) furono condannati per eresia. Ed è nostro santo dovere – per amore e per misericordia per tante anime – criticare i nostri vescovi e persino il nostro caro Papa, se essi deviano dalla verità e se i loro errori danneggiano la Chiesa e le anime. Quest’obbligo fu riconosciuto nella Chiesa fin dall’inizio.
San Paolo resistette al primo Papa, san Pietro, con dure ed energiche parole, quando egli, nella sua decisione pratica, deviava dalla verità e dalla volontà di Dio. Sant’Atanasio resistette a Papa Liberio che firmò una dichiarazione che conteneva l’eresia ariana o semi-ariana, che negava la vera divinità di Gesù Cristo. Questo Papa, davanti alla critica di sant’Atanasio, scomunicò sant’Atanasio ingiustamente, commettendo un errore contro il quale vi furono laici che levarono le loro voci e che fu corretto in seguito. E oggi la Chiesa, che deve in parte a questo Santo la preservazione della sua fede, celebra la sua festa in tutto il mondo.
Alcuni laici resistettero a Papa Onorio che fu poi condannato per eresia per essersi dichiarato a favore della eresia monotelita (che negò le due nature e le due corrispondenti volontà umane e divine della medesima persona Gesù Cristo). Laici protestarono contro l’eresia di Papa Giovanni XXII sulla visione beatifica, un’eresia che Giovanni XXII stesso revocò un giorno prima della sua morte con la bolla Ne super his e che fu condannata nella bolla Benedictus Deus dal suo successore Benedetto XII.
Seguiamo allora, senza paura, tali sublimi esempi di amore per la verità e per la Chiesa e non acconsentiamo mai se vediamo che Pietro è caduto in un errore. Papa Francesco stesso ci esortava a fare esattamente questo e a criticarlo invece di mentire al mondo cattolico o di adularlo. Prendiamo a cuore le sue parole, ma facciamolo umilmente e solo per amore di Gesù e della sua Santa Chiesa, per asciugare le lacrime di Gesù e per glorificare Dio in veritate.
In conclusione: se non è possibile, come non lo è, interpretare le affermazioni dell’AL, quelle menzionate e altre, in continuità con il magistero sempiterno della Chiesa, dobbiamo chiedere umilmente, ma con forza, e in modo deciso al Santo Padre che egli stesso revochi questi errori gravi o, almeno, corregga queste frasi che quasi nessun lettore dell’AL può intendere come conseguenze delle Sacre Scritture, ma che tutti (compreso le Conferenze episcopali come quella delle Filippine) interpreteranno inevitabilmente, più o meno subito, con un significato errato che nessun Papa deve affermare essere la verità. Come il Papa stesso, e non cattivi giornalisti o interpreti dell’AL, ha detto queste e altre cose false, credo che spetti al Papa sostituirle con la verità, affinché la parola della Santa Eucaristia e della Costituzione dogmatica Lumen Gentium si verifichi in modo glorioso e che la Chiesa si mostri a tutti come epifania e “ferma colonna della verità” e come forno di fuoco di un amore e di una misericordia infinita, ma in veritate.

[1] In certi casi potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti. Per questo “ricordo ai sacerdoti che il confessionale non deve essere una sala di tortura, ma il luogo della misericordia del Signore”, Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 44:AAS 105 (2013), 1038. Sottolineo inoltre che l’Eucaristia “non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” (ivi, 47: 1039).
[2] Si veda
[3] AL n. 306.
[4] Questo rimando alla fedeltà in Gaudium et Spes si riferisce solo al matrimonio e non, come nell’AL, a rapporti extraconiugali. Non conosco nessun altro testo ecclesiastico (a parte l’AL) nel quale si parla della fedeltà tra adulteri come virtù o dell’infedeltà tra loro come vizi o addirittura come mali più gravi dell’adulterio.
[1] Antonio Spadaro, S.I., “Amoris Laetitia”. Struttura e significato dell’Esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco, LaCiviltà  Cattolica, p. 119. Sandro Magister rende la posizione in questo modo: “Francesco ha tolto tutti i “limiti” del passato, anche nella “disciplina sacramentale”, per le coppie “cosiddette irregolari””: il termine “cosiddette” non è del padre Spadaro, ma del Papa e secondo lo storico della Chiesa Alberto Melloni “vale tutta l’esortazione”, perché solo lui assolve queste coppie e le fa diventare “i destinatari dell’Eucaristia”. Sandro Magister, “Roma: Francesco e Antonio, una coppia in ottima compagnia”, Magister aggiunge: E la norma vuole che la presentazione che ne ha fatto Spadaro in “La Civiltà Cattolica” sia stata consegnata a Francesco prima di essere pubblicata. Una ragione in più per ritenere che questa esegesi del documento è stata autorizzata dal Papa rivelando così le sue intenzioni reali” (12 aprile 2016).
https://evangelizadorasdelosapostoles.wordpress.com/2016/04/12/roma-francisco-y-antonio-una-pareja-en-optima-compania/. Alberto Melloni afferma: “Francesco dice a questi sacerdoti che hanno amministrato la comunione ai divorziati risposati sapendo ciò che facevano che non hanno agito contro la norma, ma secondo il Vangelo”.

martedì 21 giugno 2016

La “Chiesa povera” dal Vaticano II ad oggi

Nella festa di quel giglio di purezza quale fu san Luigi Gonzaga, si rilancia questo contributo del prof. De Mattei, tradotto in inglese da Rorate caeli.


Giandomenico Tiepolo, S. Luigi, 1760 circa, Pinacoteca di Brera, Milano

Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga in venerazione del Crocifisso, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo

Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo

Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga in venerazione del Crocifisso, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo

Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga in venerazione del Crocifisso, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo

Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo

Ambito del bergamasco, S. Luigi Gonzaga in venerazione del Crocifisso, XVIII sec., museo diocesano, Bergamo

Autore anonimo, S. Luigi, XVIII sec., Museo Nazionale di Palazzo Mansi, Palazzo Mansi, Lucca

Ambito lombardo, S. Carlo Borromeo comunica S. Luigi Gonzaga, XVII sec., museo diocesano, Bergamo

La “Chiesa povera” dal Vaticano II a papa Francesco

di Roberto de Mattei

I documenti di Papa Francesco, secondo il giudizio prevalente dei teologi, costituiscono delle generiche indicazioni di carattere pastorale e morale, prive di significativa qualità magisteriale. È questa una delle ragioni per cui tali documenti vengono discussi in maniera più libera di quanto sia mai accaduto con i testi pontifici.
Tra le analisi più penetranti di questi testi, va segnalato lo studio di un filosofo dell’università di Perugia, Flavio Cuniberto, dal titolo Madonna Povertà. Papa Francesco e la rifondazione del cristianesimo (Neri Pozza, Vicenza 2016), dedicato in particolare alle encicliche Evangeli Gaudium (2013) e Laudato sì (2015). L’esame a cui il prof. Cuniberto sottopone i testi è quella dello studioso che cerca di comprenderne le tesi di fondo, spesso celate da un linguaggio volutamente ambiguo ed ellittico. Sul tema della povertà, Cuniberto porta alla luce due contraddizioni: la prima di natura teologico-dottrinale, la seconda di carattere pratico.
Per quanto riguarda il primo punto egli osserva che papa Francesco, in contrasto con quanto si desume dal Vangelo, fa della povertà una condizione più materiale che spirituale, per trasformarla quindi in una categoria sociologica. Questa esegesi traspare, ad esempio, dalla scelta di citare, per il discorso sulle Beatitudini, Luca 6, 20 e non il più preciso Matteo 5, 3 (che usa il termine di «pauperes spiritu», ossia coloro che vivono umilmente dinanzi a Dio).
Ma la povertà sembra essere allo stesso tempo un male e un bene. Infatti, osserva Cuniberto, «se la povertà come miseria materiale, esclusione, abbandono, è indicata fin dall’inizio come un male da combattere, per non dire il male dei mali, ed è perciò l’obiettivo primario dell’azione missionaria»il nuovo significato cristologico che gli attribuisce Francesco «ne fa contemporaneamente un valore e anzi il valore supremo ed esemplare». Si tratta, sottolinea il filosofo perugino, di un complicato groviglio. «Perché combattere la povertà e sradicarla quando è al contrario un “tesoro prezioso”, e addirittura la via verso il regno? Nemico da combattere o tesoro prezioso?» (pp. 25-26).
Il secondo nodo riguarda le “cause strutturali” della povertà. Supponendo che essa sia un male radicale, papa Bergoglio sembra individuarne la causa essenziale nella “disuguaglianza”. La soluzione indicata per estirpare questo male sarebbe quella marxista e terzo-mondista della redistribuzione delle ricchezze: togliere ai ricchi e dare ai poveri. Una redistribuzione ugualitaria che passerebbe attraverso una maggiore globalizzazione delle risorse, non più riservata alle minoranze occidentali, ma estesa a tutto il mondo. Ma alla base della globalizzazione sta la logica del profitto, che da una parte viene criticata e dall’altra viene proposta come via per vincere la povertà. Il supercapitalismo, infatti, per alimentarsi, ha bisogno di una platea di consumatori sempre più estesa, ma l’estensione su larga scala del benessere, finisce per alimentare le disuguaglianze che si vorrebbero eliminare.
Il libro del prof. Cuniberto merita di essere letto accanto a quello di uno studioso napoletano don Beniamino Di Martino, su Povertà e ricchezza. Esegesi dei testi evangelici (Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2013). Il libro è molto tecnico e don Di Martino smonta, attraverso una rigorosa analisi dei testi, le tesi di una certa teologia pauperista.
L’espressione «contro l’avidità non contro la ricchezza» riassume, secondo l’autore, l’insegnamento dei Vangeli che egli analizza. Ma da dove nasce la confusione teologica, esegetica e morale tra povertà spirituale e povertà materiale? Non si può ignorare il cosiddetto “Patto delle Catacombe”, sottoscritto il 16 novembre del 1965 nelle Catacombe di Domitilla a Roma, da una quarantina di Padri conciliari che si impegnavano a vivere e lottare per una Chiesa povera e ugualitaria.
Il gruppo aveva tra i suoi fondatori il sacerdote Paul Gauthier (1914-2002), che aveva partecipato all’esperienza dei “Preti operai” del cardinale Suhard, condannata dalla Santa Sede nel 1953, e poi, con l’appoggio del vescovo di cui fu teologo in Concilio, mons. Georges Hakim, aveva fondato in Palestina la famiglia religiosa de I compagni e le compagne di Gesù carpentiere. Gauthier era accompagnato dalla sua compagna di lotta Marie-Thérèse Lacaze, che divenne la sua convivente quando lasciò il sacerdozio.
Tra coloro che appoggiarono il movimento furono mons. Charles M. Himmer, vescovo di Tournai (Belgio), che ospitava le riunioni nel Collegio belga di Roma, dom Helder Camara che era ancora vescovo ausiliare di Rio e poi divenne vescovo di Recife, e il card. Pierre M. Gerlier, arcivescovo di Lione, in stretti contatti con il card. Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, che si faceva rappresentare dal suo consigliere Giuseppe Dossetti e dal suo vescovo ausiliare mons. Luigi Bettazzi (cfr. Il patto delle Catacombe. La missione dei poveri nella Chiesa, a cura di Xabier Pikaza e José Antunes da Silva, Edizioni Missionarie Italiane 2015).
Mons. Bettazzi, l’unico vescovo italiano oggi vivente presente al Vaticano II, fu anche l’unico italiano ad aderire al “Patto della Catacombe”. Bettazzi, oggi 93enne, partecipò a tre sessioni del Vaticano II e fu vescovo di Ivrea dal 1966 al 1999, quando si dimise per limiti di età.
Se Dom Helder Camara fu il “vescovo rosso” brasiliano, mons. Bettazzi entrò nella storia come il “vescovo rosso” italiano. Nel luglio del 1976, quando sembrava che il comunismo potesse prendere il potere in Italia, Bettazzi scrisse una lettera all’allora segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer, al quale riconosceva la tendenza a realizzare: «un’esperienza originaria di comunismo, diversa dai comunismi di altre nazioni», e chiedeva di «non osteggiare» la Chiesa, ma di «stimolarne»piuttosto «l’evoluzione secondo l’esigenza dei tempi e le attese degli uomini, soprattutto dei più poveri, che forse voi potete o sapete più tempestivamente interpretare». Il leader del PCI rispose al vescovo di Ivrea con la lettera Comunisti e cattolici: chiarezza di princìpi e basi di intesa pubblicata su Rinascita del 14 ottobre 1977.
In questa lettera Berlinguer negava che il PCI professasse esplicitamente l’ideologia marxista, come filosofia materialistica ateistica, e confermava la possibilità di un incontro tra cristiani e comunisti sul piano della “de-ideologizzazione”. Non si tratta di pensare allo stesso modo, ma di fare insieme la stessa strada – affermava in sostanza Berlinguer – nella convinzione che marxisti non si è nel pensiero, ma si diviene nella prassi.
Il primato marxista della prassi è penetrato oggi nella Chiesa come assorbimento della dottrina nella pastorale. E la Chiesa rischia di divenire marxista nella prassi anche falsando il concetto teologico di povertà.
La vera povertà è il distacco dai beni di questa terra, in modo che essi servano alla salvezza dell’anima e non alla sua perdizione. Tutti i cristiani devono essere distaccati dai beni, perché il Regno dei Cieli è riservato ai “poveri in spirito”, ed alcuni di essi sono chiamati a vivere una povertà effettiva, rinunciando al possesso e all’uso dei beni materiali. Ma questa scelta ha valore perché è libera e non viene imposta da nessuno.
Le sette eretiche, fin dai primi secoli, hanno preteso invece di imporre la comunione dei beni, al fine di realizzare in questa terra una utopia ugualitaria. Su questa linea si pone oggi chi vuole sostituire alla categoria religiosa dei poveri in spirito quella sociologica dei materialmente poveri. Mons. Luigi Bettazzi, autore del volumetto La chiesa dei poveri dal concilio a Papa Francesco (Pazzini 2014) ha ricevuto, il 4 aprile 2016, la cittadinanza onoraria di Bologna e potrebbe ricevere la porpora da papa Francesco, sotto il cui pontificato secondo lo stesso ex-vescovo di Ivrea, si è sviluppato il Patto delle Catacombe, «come un seme di frumento messo sotto la terra e cresciuto pian piano fino a dare i suoi frutti».